Perché scrivo, se non scrivo meglio? Ma cosa ne sarebbe di me se non scrivessi ciò che riesco a scrivere, per quanto nello scrivere io sia inferiore a me stesso? Sono un plebeo dell'aspirazione perché cerco di realizzare; non oso il silenzio, come chi teme una stanza buia. Sono come coloro che apprezzano più la medaglia che la fatica e assaporano la gloria attraverso la pelliccia di ermellino. Per me scrivere è disprezzarmi; ma non posso smettere di scrivere. Scrivere è come la droga che odio e che prendo, il vizio che disprezzo e in cui vivo. Ci sono veleni necessari, e ce ne sono di sottilissimi, composti di ingredienti dell’anima. Erbe colte nei campi delle rovine dei sogni, papaveri neri trovati vicino alle tombe, lunghe foglie di alberi osceni che agitano i rami sulle rive sentite dei fiumi infernali dell'anima. Sì, scrivere significa perdermi, ma tutti si perdono, perché tutto è perdita… Tratto da “Il libro dell’inquietudine” di Fernando Pe...